L’empatia può essere considerata come un’importante porta di accesso alla percezione della Rete della Vita della quale facciamo tutti parte.
Se la nostra natura, per davvero, è solamente utilitarista ed egoista, siamo destinati, ha osservato Rifkin, “ad una sorte non favorevole perché non sappiamo come sette miliardi di persone possano andare d’accordo sul pianeta. Ma negli ultimi anni, alcuni grandi scienziati dell’evoluzione hanno scoperto che questa non è la nostra vera natura e che siamo codificati per essere empatici e collaborativi” (1).
Lo scienziato Rizzolatti sostiene che la “natura ha creato un meccanismo per volerci bene, per capirci a un livello antico che viene prima del linguaggio. Un meccanismo naturale che ci permette di comunicare […]. La natura ha creato questo meccanismo ma sta alla cultura renderlo più ricco o più povero. Se la cultura invita a ingannare il prossimo… a fare quel che si vuole… a essere egoisti e individualisti, il meccanismo dei neuroni specchio finisce con l’atrofizzarsi” (2). L’empatia, in effetti, è una possibilità che va rafforzata e sostenuta negli ambienti familiari e scolastici: “l’empatia può essere repressa: se non hai avuto dei bravi genitori o un sistema scolastico adeguato, viene fuori la pulsione secondaria, il materialismo, la violenza, mentre la nostra pulsione primaria è provare empatia, collaborare” (3).
Ad esempio, l’empatia può essere considerata come una importante porta di accesso alla percezione della Rete della Vita della quale facciamo tutti parte. Quando entriamo in profonda empatia con qualcosa cominciamo anche a prenderci cura di quella realtà che avvertiamo come “nostra”. Se, ad esempio, entriamo in empatia con i fiumi ne abbiamo un profondo rispetto perché li sentiamo parte di noi, perché ne avvertiamo la vita, la purezza, ne avvertiamo la sacralità e, conseguentemente, avvertiamo il bisogno spontaneo di non sporcarli. Se, ad esempio, entriamo in empatia con gli animali non solo li rispettiamo ma non li mangiamo. Se entriamo in empatia con il nostro organismo, sicuramente non fumiamo, cioè non avveleniamo le cellule del nostro stesso organismo. Certamente, l’empatia non ha una intensità uniforme, in quanto vi sono diversi gradi e dimensioni di stati empatici. La scintilla empatica può scattare improvvisamente anche tramite un semplice sguardo che genera un quid nella nostra coscienza.
Ma noi dovremmo anche sapere “andare oltre l’empatia naturale per educarla all’etica, alla morale” (4). Infatti, la nostra coscienza empatica, se è eticamente orientata, può essere la logica premessa per migliorare i comportamenti civici e per prenderci cura della sostenibilità della Vita (5).
L’attitudine all’empatia può rivestire un ruolo indispensabile nella vita civica giacché può aiutarci a raggiungere una visione più impersonale degli interessi in virtù della quale diventa fattibile una convivenza fondata su basi etiche. Ciò si spiega con il fatto che il poter assumere “la prospettiva dell’altro (mettersi nei panni di) o il poter provare le emozioni dell’altro (sentire con) permette di eliminare le barriere e le distanze create dal pregiudizio e dai processi di categorizzazione ostile. Ai processi di “disumanizzazione” si risponde educando alla comune umanità” (6).
Apprendere a mettersi al posto degli altri è, in effetti, veramente importante anche sul piano cognitivo: ”Se prendete questa abitudine, in pochissimo tempo diverrete veramente perspicaci, intuitivi […] bisogna dimenticarsi un po’ di se stessi e pensare agli altri; è il mezzo migliore per vedere e sentire l’essenziale” (7). L’attitudine empatica ci permette di superare la prospettiva angusta del nostro interesse particolare. È agevole riconoscere che se i soggetti decisori pubblici fossero empatici nel senso indicato, agirebbero in una prospettiva costruttiva per il bene comune e assumerebbero, con celerità, i provvedimenti necessari al benessere collettivo. Afferma Aïvanhov: ”Troverete sempre persone pronte a sostenere che sia impossibile sapere dove sta il bene e dove sta il male… Che ragionino un po’, e sapranno se stanno per agire bene o male. Vogliono, ad esempio, scavalcare qualcuno o sminuirlo agli occhi degli altri? Oppure vogliono sedurlo per poi respingerlo? Ebbene, si mettano nei suoi panni, cerchino di immaginare che cosa proverebbero al suo posto, e scopriranno immediatamente che è doloroso, ingiusto e disonesto” (8).
Anche Singer mette in evidenza la necessità di porre a base dell’etica l’uguale considerazione degli interessi: ”La regola aurea ci dice di andare oltre i nostri interessi personali, e di “fare agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”. La stessa idea del mettersi al posto dell’altro è contenuta nel comandamento cristiano “ama il prossimo tuo come te stesso”. Gli stoici affermavano che l’etica deriva da una legge naturale universale. Kant ha sviluppato questa teoria, fino ad arrivare alla celebre formula: “Agisci soltanto secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi volere che divenga una legge universale” (9). Queste etiche convergono su un punto: “ la giustificazione di un principio di etica non può essere espressa in termini di un gruppo particolare o fazione…Questo significa che nel dare giudizi morali dobbiamo superare i nostri gusti personali su ciò che ci piace o non ci piace. L’etica ci chiede di andare oltre l’io e il tu, per giungere alla legge universale, al giudizio universalizzabile, al punto di vista dello spettatore imparziale” (10).
La via empatica rappresenta, dunque, un percorso necessario per la nostra convivenza in quanto, accrescendo i legami psichici, riduce aggressività e ostilità nella vita relazionale. L’empatia ci consente di superare le nostre simpatie – antipatie e di acquisire una visione più oggettiva dei comportamenti altrui. L’empatia, in altri termini, può aiutarci a formulare processi valutativi più impersonali, a risolvere eventuali conflitti, ma anche a prevenire i nostri comportamenti iniqui (11).
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(1) J. Rifkin, La civiltà dell’empatia. La corsa verso la coscienza globale nel mondo in crisi, Mondadori, 2010, p. 170. Molti studiosi, afferma Rifkin, “hanno erroneamente associato l’empatia solo a sentimenti ed emozioni. Se questo fosse vero, la coscienza empatica sarebbe impossibile. Stiamo cominciando a capire che uno scambio empatico richiede sia un impegno intimo sia una certa misura di distacco. Se i nostri sentimenti tracimassero completamente nei sentimenti dell’altro, o suoi sentimenti sopraffacessero la nostra psiche, perderemmo il nostro senso di identità e la capacità di immaginare l’altro come se fosse noi stessi. L’empatia è un atto di delicato equilibrio. Si deve essere aperti all’esperienza della condizione dell’altro come se fosse la propria, ma non lasciarsene travolgere” p. 161.
(2) G. Rizzolatti, Empatia e neuroni a specchio, Convegno Aethanaeum, 15 febbraio 2013, Roma.
(3) J. Rifkin, op.cit., p. 161.
(4) M. C. Pallavicini, Convegno Aethanaeum cit. Ad esempio, De Waal sostiene che “gli esseri umani sono empatici con i propri compagni in contesti cooperativi, ma sono “antiempatici” con i potenziali competitori, L’età dell’empatia, Garzanti, 2011, p.158. Critico sulla valenza trasformatrice dell’empatia, se non è accompagnata dalla consapevolezza morale, è Brooks: “Le persone empatiche sono più sensibili al punto di vista e alle sofferenze degli altri e sono più inclini a esprimere giudizi morali compassionevoli. Il problema insorge quando cerchiamo di trasformare i sentimenti in azione. L’empatia rende maggiormente consapevoli delle sofferenze altrui, ma non è chiaro se spinga effettivamente ad agire in modo morale o se trattenga effettivamente dall’agire in modo immorale… L’empatia non sembra influire molto quando quell’agire comporta un costo personale… Nessuno è contro l’empatia, ma sta di fatto che non è sufficiente. Di questi tempi l’empatia è diventata una scorciatoia…In una cultura che non riesce a formulare categorie morali e che cerca in tutti i modi di non offendere, insegnare l’empatia è un modo sicuro per sembrare virtuosi senza rischiare polemiche e senza urtare i sentimenti di qualcuno”, D. Brooks, “Così l’empatia è stata trasformata in una scorciatoia”, Repubblica 11 dicembre 2011.
(5) Cfr. Bruno E. G. Fuoco, Le nostre scelte nella Rete della Vita, 2015; Corso on line di “Educazione alla Cittadinanza nella Rete della Vita” www.nuoveattitudini.it
(6) M. Santerini, Educazione morale e neuroscienze. La coscienza del’empatia, Editrice La scuola, 2011, p.195.
(7) O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 10 giugno 2001, Prosveta. Come si può pensare che “gli esseri umani arrivino a comprendersi e formare un’unità, se nella loro comprensione e nei loro atteggiamenti si lasciano trasportare dagli istinti, dalle bramosie, dai loro interessi particolari” Pensieri Quotidiani, 13 agosto 2002.
(8) O.M. Aïvanhov, Conférence “Sympathie et antipathie”, 2 septembre 1954, Prosveta. Dal fatto di non volersi porre nelle situazioni altrui, “derivano tanti errori di giudizio, tante crudeltà e ingiustizie. Nel momento in cui state per pronunciarvi su una persona, che cosa sapete della situazione in cui essa si trova? […] Allora, prima di criticarla o di accusarla, almeno per qualche minuto, fate lo sforzo di mettervi nei suoi panni… Vale la pena cercare di porsi nella situazione delle persone che vi sono antipatiche e che siete sempre pronti a condannare. Anche solo pochi minuti ogni giorno di questo esercizio, e acquisirete qualità di pazienza, di indulgenza, di dolcezza e di generosità di cui beneficerete sia voi che loro” Idem, Pensieri Quotidiani, 25 ottobre 2010, Prosveta. L’empatia ha un ruolo importante anche per la costruzione della nostra identità come ebbe modo, nei primi anni del Novecento, di sottolineare la Stein: la conoscenza della persona estranea ci arricchisce “ai fini della nostra autoconoscenza, essa porta a sviluppo, in quanto empatia di ‘nature affini’ ossia di persone del nostro tipo, quel che in noi ‘sonnecchia’ e perciò ci rende chiaro, in quanto empatie di strutture personali diversamente formate, quel che non siamo e quel che siamo in più o in meno rispetto agli altri… In tal modo, con i nuovi valori acquisiti per mezzo dell’empatia, lo sguardo si dischiude simultaneamente sui valori sconosciuti della propria persona”, E. Stein, Il problema dell’empatia, Studium Roma, 2003, pp. 227-228.
(9) P. Singer, Etica pratica, Liguori, 1989, pp. 22-23, Idem, La vita come si dovrebbe, Il Saggiatore, 2001.
(10) Ibidem.
(11) Per ulteriori riflessioni sui vantaggi della prospettiva empatica, rinviamo al Corso on line di Educazione alla Cittadinanza, www.nuoveattitudini.it.
Articolo di Bruno Fuoco. Fonte: scienzaeconoscenza.it | Link